Philip Roth sul sogno americano
Written by Redazione, Posted in Diritto e Letteratura
“Nonostante la corrente sotterranea di ansietà – la sensazione, provata ogni giorno, che la miseria fosse una minaccia persistente che soltanto la persistente diligenza poteva sperare di tenere a bada; nonostante una sfiducia generalizzata nel mondo dei gentil; nonostante la paura di essere sconfitti che restava attaccata a molte famiglie a causa della Crisi, – il nostro non era un quartiere immerso nelle tenebre. Il posto brillava d’industriosità. C’era una grande fiducia nella vita, e noi eravamo inesorabilmente pilotati verso il successo: un’esistenzxa migliroe sarebbe stata nostra. Il traguardo era avere dei traguardi, lo scopo era avere degli scopi. Spesso questo precetto assumeva toni isterici, l’irriducibile isteria di coloro ai quali l’esperienza aveva insegnato che era sufficiente un po’ di ostilità per rovinare una vita. Ma fu proprio questo precetto – emotivamente sovraccarico com’era per l’incertezza dei nostri progenitori, per la coscienza che avevano di tutto quanto congiurava contro di loro – a rafforzare la coesione del quartiere. Un’intera comunità che perennemente ci implorava di non essere eccessivi e di non rovinare tutto, che ci implorava di cogliere l’occasione, sfruttare i nostri vantaggi, ricordare ciò che conta“.
P. Roth, Pastorale americana (1997), p. I, cap. II